Obiettivi climatici, l’Europa è in stallo ma non c’è più tempo
I nuovi obiettivi climatici andrebbero presentati entro settembre, ma le profonde divisioni interne stanno tenendo in stallo l'Unione europea che ora rischia di non rispettare la scadenza.

Giovedì a Bruxelles i ministri dell’ambiente dell’Unione Europea si incontrano per tentare di uscire dall’impasse che da mesi blocca la definizione dei nuovi obiettivi climatici europei. In gioco ci sono due tappe fondamentali: l’impegno al 2035, che dovrà confluire nell’NDC (contributo determinato a livello nazionale) dell’UE previsto dall’Accordo di Parigi, e l’obiettivo intermedio al 2040, ritenuto cruciale per rendere credibile la traiettoria verso la neutralità climatica al 2050.
Europa divisa sugli obiettivi climatici
La Commissione europea ha proposto una riduzione del 90% delle emissioni nette entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990. Una linea sostenuta da diversi Stati, ma che incontra forti resistenze politiche.
Alcuni Paesi, come Francia, Germania e Polonia, hanno chiesto di spostare il dibattito al Consiglio europeo di ottobre, rendendo impossibile raggiungere un accordo entro settembre.
Il risultato è che l’UE rischia di presentarsi alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, in programma la prossima settimana a New York, senza un nuovo impegno al 2035. Una mancanza pesante, perché entro fine settembre tutti i Paesi sono chiamati a depositare i loro NDC aggiornati. L’Unione, che si presenta come un blocco unico, perderà così il treno della scadenza Onu, mentre grandi emettitori come la Cina sono attesi al varco con nuovi annunci.
L’ipotesi di una dichiarazione di intenti
Come compromesso, giovedì i ministri potrebbero approvare uno statement of intent, una dichiarazione di intenti: un testo politico che indichi un range di riduzione delle emissioni tra il 66,3% e il 72,5% al 2035, in linea con l’obiettivo di neutralità climatica al 2050 e con la proposta di -90% al 2040. Non sarebbero degli obiettivi climatici formali ma solo un passo intermedio, con la promessa di definire la traiettoria definitiva prima della COP30 di novembre a Belém, in Brasile.
Come ha sottolineato Elisa Giannelli, responsabile del programma E3G Bruxelles, «Il protrarsi dell’incertezza non farebbe che minare la chiarezza e la certezza di cui hanno bisogno i cittadini, le imprese e gli investitori.
Un impegno chiaro a favore di obiettivi ambiziosi e scientificamente fondati per il 2035 e il 2040 è la decisione più strategica che i leader dell’UE possano prendere in questo momento».
Un contesto sempre più urgente
Le divisioni interne arrivano mentre i dati scientifici ed economici confermano l’urgenza dell’azione climatica. Secondo l’Imperial College di Londra, la scorsa estate in Europa il caldo estremo legato ai gas serra ha causato circa 16.500 morti. La Commissione stima che eventi meteorologici estremi – tra alluvioni, ondate di calore e siccità – abbiano già generato danni economici per 43 miliardi di euro, destinati a salire a 126 miliardi in pochi anni se la tendenza continuerà.
Leadership internazionale a rischio
Il rinvio pesa anche sul piano diplomatico. L’UE ha sempre rivendicato un ruolo guida nella lotta al cambiamento climatico, ma oggi appare in ritardo rispetto ad altri attori. Il Regno Unito ha già fissato un NDC di riduzione dell’81% entro il 2035; il Brasile ha comunicato un target tra -59% e -67%; altri Paesi emergenti come India e Cina hanno già esplicitato nuove traiettorie di riduzione o intensità emissiva.
Senza obiettivi climatici chiari e vincolanti, l’Europa rischia di presentarsi alla COP30 divisa e poco credibile, nel decennale dell’Accordo di Parigi. Eppure proprio da un’Unione coesa e ambiziosa passa gran parte della capacità della comunità internazionale di alzare l’asticella e contenere l’aumento delle temperature globali entro la soglia di sicurezza di 1,5 °C.
«Il fatto che alcuni Stati membri continuino a ostacolare l’accordo sull’obiettivo per il 2040, impedendo così all’UE di presentare il proprio NDC questo mese, è una grande delusione e danneggia enormemente la reputazione dell’Unione», ha sottolineato Sven Harmeling, Responsabile Clima di CAN Europe. E questo «avviene in un momento in cui, dato il ritiro degli Stati Uniti, la diplomazia internazionale sul clima offre all’UE un enorme potenziale per posizionarsi come partner e pioniere di uno sviluppo economico rispettoso del clima».
NOTE: questo articolo è stato generato con il supporto dell’intelligenza artificiale.