Trattato sulla plastica: una corsa contro il tempo per il futuro del pianeta
Sono gli ultimi giorni per contrastare l’inquinamento da plastica con un accordo vincolante
A Busan, in Corea del Sud, si è aperto l’ultimo round di negoziati per definire un trattato globale sulla plastica. Il Comitato Intergovernativo di Negoziazione si è infatti riunito per la quinta e ultima sessione (INC-5) per decidere sul futuro della lotta contro l’inquinamento da plastica: fino al primo dicembre delegazioni provenienti da oltre 190 Paesi si riuniranno per definire un accordo giuridicamente vincolante che miri a ridurre la produzione di plastica e a eliminare progressivamente il monouso.
La posta in gioco è altissima, in un momento cruciale nella lotta contro una delle più gravi crisi ambientali globali. Greenpeace, WWF e altre organizzazioni ambientaliste chiedono un accordo forte e ambizioso, che affronti il problema alla radice e non si limiti a misure di mitigazione.
«Per proteggere le generazioni presenti e future da un mondo sopraffatto dall’inquinamento da plastica e dal peso iniquo che questo impone alle comunità più vulnerabili, abbiamo bisogno di regole globali vincolanti», spiega Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia. «I negoziatori hanno il sostegno non solo da parte della comunità scientifica, ma anche della maggioranza dei governi, dei cittadini e delle imprese: un Trattato globale con obblighi giuridicamente vincolanti è l’unico modo per affrontare la crisi globale dell’inquinamento da plastica. Bisogna dare priorità alle misure più urgenti e dirimenti per affrontare il problema alla radice e creare un trattato forte e incisivo».
In particolare, il trattato sulla plastica dovrebbe includere:
- Divieti globali su plastiche problematiche e sostanze chimiche pericolose.
- Requisiti obbligatori per progettare prodotti riutilizzabili e facilmente riciclabili.
- Finanziamenti equi per sostenere la transizione globale verso un’economia circolare.
- Meccanismi decisionali per adattare il trattato nel tempo.
Senza queste misure, avvertono gli esperti, l’inquinamento da plastica potrebbe continuare a crescere, causando danni irreparabili agli ecosistemi e alla salute umana.
Greenpeace: il trattato riduca la produzione di plastica e azzeri il monouso. «Il mondo vi sta guardando»
In concomitanza con l’avvio dei negoziati per definire il trattato globale sulla plastica, Greenpeace ha issato una bandiera raffigurante un gigantesco occhio su una gru alta dieci piani. L’opera, ideata dall’artista Dan Acher in collaborazione con Greenpeace East Asia, è costituita dai ritratti di migliaia di volti di attiviste e attivisti di tutto il mondo, inclusi quelli di attori noti come William Shatner e James Cromwell. L’installazione, oltre a rappresentare le istanze globali per ottenere un trattato che riduca la produzione di plastica e azzeri il monouso, è messaggio per i leader mondiali: il mondo vi sta osservando e chiede un trattato ambizioso per affrontare l’emergenza plastica.
«I governi devono agire per tutelare le persone e il pianeta anziché preservare gli interessi delle aziende dei combustibili fossili e dell’industria petrolchimica», dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. «Un trattato debole sarebbe un fallimento. Abbiamo bisogno di un accordo ambizioso e legalmente vincolante per ridurre la produzione di plastica ed eliminare la plastica monouso, per proteggere la nostra salute, le nostre comunità, il clima e il pianeta».
Greenpeace, insieme al movimento Break Free from Plastic, ha consegnato le firme di oltre due milioni di persone che in questi anni, e in tutto il mondo, hanno sottoscritto una petizione che chiede ai governi di:
- andare oltre il riciclo come unica soluzione e di impegnarsi a ridurre la produzione di plastica di almeno il 75% entro il 2040 per contenere il riscaldamento globale entro il limite di 1,5°C proteggendo così clima, salute, diritti umani e comunità;
- vincolare le grandi multinazionali a vendere sempre più prodotti sfusi o con packaging riutilizzabile;
- assicurare che i Paesi sviluppati guidino una giusta transizione e offrano supporto ai Paesi in via di sviluppo;
- dare voce a Popoli Indigeni, comunità vulnerabili e lavoratori nella progettazione di una transizione verso un’economia basata sul riuso.
L’Italia ha contribuito a questo appello in maniera significativa, raccogliendo oltre 350 mila adesioni. Nel nostro Paese, da tempo Greenpeace denuncia come il racconto di un Paese all’avanguardia nel riciclo della plastica si scontri con una realtà ben diversa. Non solo siamo ben lontani dal 50 per cento di riciclo effettivo, avverte l’organizzazione: a peggiorare la situazione, l’Italia esporta massicciamente rifiuti plastici, anche in Paesi non dotati di idonee infrastrutture per il riciclo, come conferma un’altra indagine di Greenpeace. Nel 2023 il nostro Paese ha infatti spedito in Turchia 41.580 tonnellate di plastica – pari a 347 camion al mese – piazzandosi quarta in Europa, con volumi cento volte superiori al 2013. Questa pratica irresponsabile e inquinante sposta il problema altrove, contraddicendo la narrazione ufficiale.
«La narrazione dei campioni del riciclo non basta più», avverte Ungherese. «È tempo che il governo italiano affronti seriamente la crisi dell’inquinamento da plastica con trasparenza e ambizione, assumendosi le proprie responsabilità ambientali e guidando la transizione verso un’economia basata sulla riduzione della produzione di plastica e di rifiuti e che favorisca soluzioni alternative come il riuso».