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COP30: l’Europa ancora divisa sul nuovo obiettivo climatico per il 2040

A meno di due settimane dalla COP30 di Belém, l’Unione europea non ha ancora trovato un accordo sull’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2040. Dopo il vertice dei leader europei del 25 ottobre, la decisione è stata nuovamente rimandata ai ministri dell’Ambiente, che si riuniranno in sessione straordinaria il 4 novembre. Sarà l’ultima occasione per arrivare a un compromesso prima del vertice mondiale sul clima, che quest’anno si svolgerà in Brasile.

Il dato principale resta invariato: l’obiettivo di ridurre del 90% le emissioni nette entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990 è ancora l’unico ufficialmente sul tavolo. Ma la strada per raggiungerlo è tutt’altro che chiara.

Una trattativa in salita

Da mesi i governi europei discutono su come bilanciare l’ambizione climatica con le pressioni economiche e industriali. Alcuni Stati membri, tra cui Germania, Italia, Polonia e Repubblica Ceca, chiedono maggiore flessibilità e tempi più lunghi per la transizione, sottolineando il peso dei costi energetici e della concorrenza con Cina e Stati Uniti.

Altri Paesi, come Danimarca, Paesi Bassi e Svezia, spingono invece per una linea più rigorosa, temendo che concessioni e deroghe possano minare la credibilità dell’Europa in vista della COP30 e rendere impossibile centrare la neutralità climatica al 2050.

Secondo quanto riferisce l’agenzia Reuters, una bozza di compromesso circolata a Bruxelles mostra che la presidenza danese dell’UE ha proposto di inserire una revisione biennale dell’obiettivo 2040, che consentirebbe di correggere il tiro in base all’andamento delle tecnologie o alla capacità di assorbimento delle foreste. In pratica, Bruxelles potrebbe rivedere al ribasso l’obiettivo in futuro, se i progressi non fossero sufficienti – un meccanismo che, per molti, rischia di indebolire la certezza e la credibilità degli impegni climatici dell’Unione.

Il nodo delle compensazioni internazionali

Un altro punto controverso riguarda la quota di crediti di carbonio acquistabili all’estero per compensare parte delle emissioni.
La Commissione europea ha proposto di consentire fino al 3% del taglio totale attraverso progetti internazionali, ma alcuni Stati – tra cui la Francia – hanno suggerito di aumentare la soglia al 5%.

Anche l’Italia spinge per includere le compensazioni come strumento di flessibilità, mentre secondo molti è troppo alto il rischio di offrire un escamotage contabile che rischia di spostare altrove il problema delle emissioni – invece di ridurre realmente le emissioni europee. Di recente sul tema si è espresso anche un gruppo internazionale di esperti di politiche climatiche, che in vista della COP30 ha messo in guardia su come le compensazioni, in particolare quelle “di bassa qualità”, stiano ostacolando gli sforzi globali di riduzione delle emissioni.

Su questo punto arriva anche l’avvertimento del WWF, che in una nota ha invitato i ministri dell’Ambiente a “confermare l’obiettivo di almeno il 90% di riduzione, senza alcuna compensazione internazionale”. L’organizzazione ha inoltre avvertito che puntare su crediti di carbonio esteri significherebbe “indebolire l’ambizione complessiva e rinviare gli sforzi necessari in casa propria”.

Un passaggio chiave verso COP30

Il Consiglio Ambiente del 4 novembre sarà quindi l’ultima occasione per definire la posizione dell’Unione prima della Cop30, che si aprirà ufficialmente il 10 novembre a Belém, in Brasile.

Il Leaders’ Summit dei capi di Stato e di governo si terrà il 6 e 7 novembre e dovrebbe aprire la conferenza con l’annuncio dei nuovi contributi nazionali determinati (NDC) previsti dall’Accordo di Parigi. L’UE, però, non ha ancora potuto aggiornare il proprio NDC proprio a causa del ritardo sul target 2040: un vuoto politico che rischia di presentare l’Europa “a mani vuote” al vertice.

La tempistica è critica anche perché il 2025 segna la scadenza per tutti i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi nel presentare nuovi obiettivi più ambiziosi per il 2035 e oltre.

Tra deregulation e credibilità

Oltre ai negoziati climatici, il vertice dei leader europei ha rilanciato il tema della cosiddetta “semplificazione normativa”, con l’obiettivo dichiarato di ridurre la burocrazia per imprese e cittadini. Ma la misura – sostenuta da una lettera congiunta di 19 capi di Stato e di governo, tra cui quello italiano – è vista da molti osservatori come una spinta alla deregolamentazione ambientale.

Secondo il WWF, questa linea rischia di indebolire gli standard europei in materia di ambiente e salute pubblica, già messi alla prova da vari tentativi di allentamento negli ultimi mesi.
Un rischio non solo ecologico, ma anche economico: uno studio della Commissione stima che l’attuazione piena delle norme ambientali esistenti porterebbe un risparmio netto di 180 miliardi di euro l’anno all’economia europea, contro gli appena 8 miliardi derivanti dalle misure di deregolamentazione.

L’Europa di fronte alla COP30

Tra compromessi al ribasso e divisioni interne, l’UE arriva a questa fase cruciale in evidente affanno.
La COP30 sarà un banco di prova politico e diplomatico per l’Unione, chiamata a dimostrare di poter ancora guidare la transizione globale verso la neutralità climatica.

Dalle scelte del 4 novembre dipenderà non solo il contributo europeo all’Accordo di Parigi, ma anche la credibilità internazionale dell’Europa come attore climatico.
Se il compromesso dovesse risultare troppo debole, il rischio è che l’Unione arrivi a Belém senza una voce unitaria e perda il ruolo di guida che ha rivendicato negli ultimi anni.

 

 


NOTE: questo articolo è stato generato con il supporto dell’intelligenza artificiale.

Redazione

Redazione giornalistica composta da esperti di clima e ambiente con competenze sviluppate negli anni, lavorando a stretto contatto con i meteorologi e i fisici in Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995).

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