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Il ruolo dell’idrogeno nell’economia verde

L’idrogeno potrà diventare un prezioso alleato delle fonti rinnovabili nel processo di decarbonizzazione del sistema energetico

L’urgenza di mitigare le conseguenze più gravi del cambiamento climatico sta determinando una forte spinta al ricorso alle energie rinnovabili; la parola “decarbonizzazione”, fino a poco tempo fa in uso solo tra gli addetti ai lavori, è ormai entrata a fare parte del linguaggio comune. Come ormai sappiamo, dopo avere eliminato tutti gli sprechi e ogni consumo superfluo, dovremo produrre l’energia che ci serve senza emettere nell’atmosfera altre molecole climalteranti di biossido di carbonio, ovvero senza bruciare combustibili che lo contengono, quali il carbone e gli idrocarburi. Grazie all’energia eolica e all’energia solare oggi è possibile generare elettricità pulita a costi competitivi rispetto a quella generata attraverso i combustibili fossili.

Fatta questa premessa, vediamo dove entra in gioco l’idrogeno. Perché dopo tanti anni in cui si era smesso di parlarne questo gas si è riaffacciato prepotentemente nel dibattito sulla transizione energetica? Per rispondere cominciamo a mettere in chiaro un paio di punti:

  1. l’idrogeno non è una fonte di energia, bensì un vettore energetico
  2. l’energia elettrica prodotta dal sole e dal vento soffre di un grosso limite, relativo alla sua intermittenza e alla sua non programmabilità

Il sistema elettrico attuale è configurato attorno a grosse centrali che riescono a mantenere in equilibrio la rete, a seconda della domanda, grazie alla loro flessibilità. Se serve più energia in poco tempo viene avviata un’unità a turbo-gas o si apre il “rubinetto” di una diga verso una turbina idroelettrica; se la domanda cala si fa il contrario. L’elettricità prodotta da sole e vento, invece, è soggetta alla variabilità del tempo e del ciclo astronomico ed è pertanto di difficile gestione, in certi momenti è scarsa, in altri sovrabbondante. Ecco dove dovrebbe entrare in gioco l’idrogeno e dove, in un futuro non lontano, potrebbe svolgere una funzione chiave: quando la produzione di energia sarà superiore alle necessità l’elettricità in eccesso verrà consumata da un elettrolizzatore per generare idrogeno (scomponendo le molecole dell’acqua) e immagazzinando in tal modo l’energia elettrica nella forma di energia chimica. Produrre idrogeno è quindi una delle soluzioni più interessanti e praticabili per superare il problema dell’intermittenza delle fonti rinnovabili; inoltre, come vedremo, l’idrogeno così prodotto si presterà anche a molte altre applicazioni, presentandosi come potenziale soluzione ad altri problemi posti dalla transizione energetica.

Acqua. L’idrogeno si può ottenere scindendo la sua molecola. La sua combustione genera di nuovo acqua. Foto di Lorenzo Danieli

Prima di descrivere alcune delle applicazioni future facciamo un passo indietro e vediamo sinteticamente qual è attualmente lo “stato dell’arte” della filiera tecnologica relativa alla produzione e all’utilizzo dell’idrogeno.

Al giorno d’oggi questo gas è prodotto principalmente in modo “sporco” (grey hydrogen) partendo da combustibili fossili quali il carbone o il metano: nel caso del metano, ad esempio, si utilizza un processo noto come “reforming” che consiste in una reazione chimica ad alta temperatura tra vapore acqueo e metano che ha come prodotti idrogeno gassoso (H2) e ossidi di carbonio. Una parte rilevante dell’idrogeno ottenuto in questo modo è usato nella sintesi dell’ammoniaca, la quale, a sua volta, costituisce un ingrediente fondamentale per produrre i fertilizzanti azotati (Per approfondire: Azoto nell’atmosfera e nei suoli: le conseguenze su ecosistemi e clima). Il motivo per cui si preferisce produrre idrogeno grigio anziché idrogeno verde (da elettrolisi dell’acqua) è essenzialmente economico: l’idrogeno verde è attualmente molto più costoso (3-7 dollari al Kg) di quello ottenuto tramite reforming degli idrocarburi o del carbone (1-2 dollari al Kg). La sfida che si conta di vincere nei prossimi anni sarà quella di perfezionare la tecnologia e aumentare enormemente la grandezza degli elettrolizzatori al fine, grazie anche al calo dei costi dell’elettricità da rinnovabili, di produrre idrogeno verde a prezzi competitivi. Esiste in realtà anche una via intermedia tra l’idrogeno verde e quello grigio: il cosiddetto idrogeno blu. Questa strada è quella più caldeggiata dall’industria legata ai fossili perché consentirebbe loro di produrre idrogeno dal metano (di cui dispongono ampie riserve) in modo relativamente pulito separando la CO2 e confinandola all’interno dei giacimenti di gas esauriti. L’italiana ENI sta investendo su un grosso impianto di questo tipo (CCS, Carbon Capture and Sequestration) che nelle intenzioni dell’azienda inizierà ad essere operativo a Ravenna dal 2021.

Risolto il problema della produzione di idrogeno in modo sostenibile restano le questioni relative allo stoccaggio e al trasporto di questo prezioso vettore energetico. L’idrogeno è l’elemento più leggero presente in natura e nelle condizioni ordinarie si presenta come un gas altamente infiammabile (combinandosi con l’ossigeno la fiamma genera acqua). Per immagazzinarlo si può comprimerlo all’interno di bombole, liquefarlo a bassissime temperature (a -256°C, dunque al prezzo di un oneroso dispendio energetico) oppure stoccarlo entro materiali particolari quali gli idruri metallici. Attualmente esistono già molti kilometri di “idrogenodotti”  al servizio dell’industria (ad esempio tra Belgio, Olanda e Germania nord-occidentale), ma è bene sottolineare che i metanodotti esistenti sono già oggi in grado di trasportare metano arricchito con idrogeno fino al 5-10%. Secondo Marco Alverà, amministratore delegato di Snam, il 70% dei gasdotti italiani è già adesso nelle condizioni di trasportare idrogeno. Esistono o si studiano tuttavia anche molte altre soluzioni potenzialmente molto interessanti (chemical bounded H2) in cui l’idrogeno è legato chimicamente ad altri elementi per renderlo più maneggevole o per trasformarlo in carburanti: per esempio si può sintetizzare ammoniaca, di cui abbiamo già parlato, da utilizzare come combustibile, oppure ottenere metanolo, un alcool già ampiamente usato come carburante in paesi come il Brasile. Attraverso una serie di tecnologie note come “Power-to-gas “ si può partire dall’idrogeno e ottenere di nuovo il gas metano, da utilizzare nella rete ordinaria.

Il rendering di un prototipo di velivolo a idrogeno progettato da Airbus. Fonte immagine qualitytravel.it

Avviandoci alla conclusione, non resta che occuparsi dell’ultima domanda: cosa fare di tutto l’idrogeno? Siamo partiti, ricordiamolo, dalla necessità di un valido sistema di accumulo da accoppiare alle nuove fonti rinnovabili per sopperire alla loro intermittenza. L’idrogeno, come illustrato, può rispondere a questa esigenza, ma non solo. Questo elemento così versatile potrebbe rappresentare la soluzione più adatta per quei settori per i quali è più difficile, se non del tutto impossibile, immaginare l’elettrificazione: pensiamo al trasporto pesante su terra, all’aviazione, alle grandi navi e alla siderurgia. In questi settori la ricerca è in grande fermento e in alcuni casi possiamo già osservarne le applicazioni operative, come il treno a celle a combustibile (alimentate a idrogeno) prodotto dalla Alstom e funzionante sulle linee tedesche. Se il passo da un treno ad una nave non sembra (almeno a noi profani) così futuristico, sarà forse nel campo dell’aviazione che vedremo le soluzioni più “fantascientifiche”: Airbus sta progettando alcuni velivoli alimentati a idrogeno che potrebbero, stando alle loro dichiarazioni, entrare in commercio nel 2035. Non meno importante, specialmente per un Paese come il nostro, saranno le applicazioni nella siderurgia, un comparto industriale altamente inquinante (le cronache di Taranto ce lo hanno spesso ricordato) che produce un materiale indispensabile. L’idrogeno può essere utilizzato al posto del carbone nella reazione di riduzione degli ossidi ferrosi in ferro metallico. Il Giappone conta molto su questa tecnologia e su questa sta elaborando un programma dettagliato che si spinge addirittura fino alla fine del secolo.

Lorenzo Danieli

Sono nato a Como nel 1971 e ancora oggi risiedo nei pressi del capoluogo lariano. Dopo la maturità scientifica ho studiato fisica all’Università degli Studi di Milano, dove mi sono laureato con una tesi di fisica dell’atmosfera. La passione per la meteorologia è nata quando ero un ragazzino e si è trasformata successivamente nella mia professione. Con il tempo sono andati crescendo in me l’interesse per la natura e per tutte le tematiche legate all’ambiente, fra le quali le cause e le conseguenze del cambiamento climatico.

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