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Disinformazione: le teorie negazioniste stanno passando dalla pandemia al clima. Una questione da non sottovalutare

Mentre nel mondo le teorie negazioniste passano dalla “dittatura sanitaria” alla “tirannia del clima” arriva alla Presidenza della Cop26 e all’UNFCC una lettera aperta che chiede azioni urgenti per contrastare la disinformazione sul clima. Se pensiamo che non servano, stiamo sottovalutando il problema

Quando dovevamo scegliere una frase che identificasse questo sito, abbiamo scelto “L’informazione sul clima e l’ambiente. Conoscere per decidere, decidere per costruire un futuro sostenibile”. Una frase con tre verbi legati da azioni potenzialmente consequenziali: conoscere, decidere, costruire. Questi tre verbi racchiudono il nostro intento, ovvero quello di spiegare (o almeno provarci) quello che succede al clima, agli ecosistemi e al pianeta Terra, per offrire ai lettori degli strumenti utili per orientare le proprie scelte e – nella migliore delle ipotesi – costruire le proprie abitudini e ambizioni intorno al concetto, sempre più ripetuto, di sostenibilità. Questa idea si basa su un concetto fondamentale: la conoscenza è uno strumento. Trasmettere informazioni false o inesatte, equivale a dare strumenti fallati che possono portare a decisioni incerte e, talvolta, anche dannose. 

Per questo motivo oggi dobbiamo parlare di disinformazione sul clima e di come i movimenti negazionisti la stiano utilizzando per costruire uno scontro culturale. La letteratura identifica con il termine misinformation le notizie inesatte diffuse senza intenzionalità di ingannare e con il termine disinformation le notizie false, volutamente manipolate per influenzare scelte e comportamenti. In questo articolo utilizzeremo il termine italiano disinformazione per riferirci ad entrambe le pratiche, per praticità e anche perché diffondere notizie inesatte  senza intenzione può avere lo stesso potenziale dannoso di diffondere notizie false con intenzionalità di ledere.

La disinformazione può riguardare qualsiasi tematica ma tende ad insinuarsi maggiormente nei campi in cui la posta in gioco è più alta. La crisi climatica e le azioni per contrastarla, implicano dei cambiamenti radicali per le nostre società, nei modelli di business, di consumo e di sviluppo. Dei cambiamenti che possono mutare ruoli di potere e di profitto. L’Institute for Strategic Dialogue (ISD) ha recentemente pubblicato il rapporto ‘Climate Lockdown’ and the Culture Wars: How COVID-19 Sparked a New Narrative Against Climate Action, che documenta una nuova teoria della cospirazione utilizzata per guidare il dibattito negazionista: “la tirannia del clima”. La diffusione di notizie false sulla pandemia, sui vaccini e sulle misure di contenimento del contagio intraprese dai governi ha generato alleanze digitali che, autoalimentandosi, hanno innescato un conflitto. La ricerca dell’ISD ha fatto emergere come il negazionismo climatico stia seguendo questa dinamica: un crogiolo digitale in cui movimenti, ideologie e attori precedentemente distinti trovano terreno comune sul quale coltivare lo scontro con le istituzioni governative, con la comunità scientifica e -come la cronaca riporta– con i giornalisti. Dalla “dittatura sanitaria” alla “tirannia del clima”, ci si muove su strade fatte di teorie cospirazioniste e presunti piani autoritari segreti, notizie false o distorte, nelle quali le parole non hanno valore e i fatti non vedono verifica. Entrambi fenomeni ci devono far riflettere sull’effetto strategico che questi conflitti culturali possono avere al di fuori del contesto ristretto della crisi dalla quale hanno origine (sanitaria o climatica che sia), su come aumentano la polarizzazione politica e sociale verso posizioni estremiste, mescolando fatti e opinioni come se fossero parte della stessa materia. 

«L’estrema destra ha alimentato la paura dell’immigrazione, delle élite e del multiculturalismo. Ora, gli estremisti stanno rivolgendo la loro attenzione online alla presunta minaccia dell’agenda verde, con l’obiettivo di screditare la Cop26» scrive su Tortoise, Jennie King, Senior Policy Manager dell’ISD. «Per oltre un decennio, il nostro team dell’Institute for Strategic Dialogue ha analizzato i movimenti estremisti e la guerra dell’informazione online e offline. Abbiamo visto stati ostili, gruppi di interesse speciale e reti di cospirazione armare i social media per promuovere le loro cause, minacciando l’integrità elettorale e molto altro ancora. Migrazione e salute pubblica sono fronti consolidati nelle guerre culturali del nostro tempo: quest’ultima soprattutto durante la pandemia. Molta meno attenzione, invece, è stata dedicata ai modi in cui le argomentazioni sul cambiamento climatico si sono innestate su questi conflitti di identità, affinità e appartenenza».

L’analisi dei dati delle piattaforme digitali ha fornito un’istantanea dei modi in cui la manipolazione delle notizie riguardanti l’emergenza climatica e le politiche per affrontarla, sta alimentando in modi subdoli e sottostimati un vero scontro culturale.

A settembre 2020, Project Syndicate ha pubblicato Evitare un lockdown climatico”, un articolo dell’economista Mariana Mazzucato nel quale si illustrano una serie di azioni necessarie da intraprendere in fretta per poter “trasformare il futuro del lavoro, dei trasporti, e dell’uso dell’energia, per rendere il concetto di una buona vita verde una realtà per le generazioni a venire”.  L’argomentazione non celebrava i “lockdown climatici” ma poneva come indispensabili delle politiche immediate per evitare di doverne assumere di più stringenti in futuro. L’articolo era senza dubbio un invito all’azione. Dopo la pubblicazione però il contenuto dell’articolo è stato distorto, diventando rapidamente il simbolo della presunta “tirannia del clima”. 

Basta cercare tra i video più visti di YouTube “lockdown climatico” per capire quanto l’argomento  snaturato dall’originale sia diventato centrale nelle teorie negazioniste.  In un video intitolato “Coming Soon: Climate Lockdowns” (84k visualizzazioni e 8k Mi piace) Paul Joseph Watson, youtuber e teorico della cospirazione, snocciola un elenco di punti di discussione anti-autorità: “i governi hanno ora stabilito il precedente che la vita normale è un privilegio, che possiamo permetterci di avere qualcosa ma che questo qualcosa può esserci tolto in qualsiasi momento”; “Bill Gates sta acquistando quantità record di terreni agricoli, anche se ti viene detto che il sogno della proprietà è un’antica reliquia”; “‘fare diversamente’ significa reddito di base universale, significa neofeudalesimo, significa servitù finanziaria…la completa abolizione dell’autodeterminazione e la totale dipendenza dai tecnocrati”. Un altro video, pubblicato dal cospirazionista “Ice Age Farmer”, intitolato “Climate Lockdown- The End Game Becomes Clear: Post-Human Future” (96k visualizzazioni e 9,7k Mi piace) descrive l’esperienza della pandemia come la normalizzazione dello stato di polizia e vede i tecnocrati come nemici della libertà e manipolatori che, attraverso le politiche climatiche, assumeranno il totale controllo delle persone.

Da un lato il mondo chiede azione per il clima e cambi di direzione, dall’altro la possibilità di una agenda verde viene vista come una minaccia, un pericolo, una anticipazione della tirannia. Pensare che queste due sfere siano distinte e che l’una non possa contaminare l’altra, significa sottovalutare il problema. 

In questi giorni hanno sede a Glasgow i negoziati sul clima più importanti del secolo e, secondo le ricerche del Global Disinformation Index, il periodo che ha preceduto queste giornate di Cop26 ha visto un aumento dei casi di disinformazione parallelo all’avvicinarsi dei negoziati.

Il 9 novembre, nona giornata di Cop26, il Conscious Advertising Network e oltre 250 attori tra cui brand, inserzionisti, media e ong, hanno chiesto ai rappresentati di Cop26 e alle piattaforme digitali un intervento contro la disinformazione sul clima. 

Perché si intervenga bisogna prima dare una definizione di “disinformazione sul clima” che sia condivisa e che delinei i campi di intervento, come ha ricordato Jacob Dubbins, co-founder del Conscious Advertising Network «Non esiste una definizione universalmente accettata di disinformazione climatica e la maggior parte delle piattaforme online non ha politiche contro la disinformazione sul clima. Chiaramente, abbiamo bisogno di entrambe le cose per combattere la disinformazione che può seriamente fermare gli sviluppi che stiamo facendo per limitare il riscaldamento globale a 1,5 ºC. Abbiamo già visto conferenze deragliare a causa della disinformazione e non possiamo permettere che accada di nuovo. Sono in gioco il nostro Pianeta e le nostre vite.»

In particolare, con questa lettera aperta, si chiede alla Presidenza della COP26 e all’UNFCCC di includere l’azione contro la disinformazione sul clima all’interno del “nuovo programma di lavoro per l’empowerment climatico, l’istruzione, la formazione e la sensibilizzazione del pubblico, la partecipazione e l’accesso alle informazioni” designato dalla Presidenza della Cop26. L’azione si deve basare sulla definizione di disinformazione sul clima che riportiamo di seguito.

La disinformazione sul clima si riferisce a contenuti ingannevoli o fuorvianti che:

  • minano l’esistenza o gli impatti dei cambiamenti climatici, l’inequivocabile influenza umana sul cambiamento climatico e la necessità di un’azione urgente corrispondente, secondo il consenso scientifico dell’IPCC e in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima
  • travisano i dati scientifici, anche per omissione o selezione, al fine di erodere la fiducia nella scienza del clima, nelle istituzioni, negli esperti e nelle soluzioni incentrate sul clima
  • pubblicizzano falsamente gli sforzi a sostegno degli obiettivi climatici che di fatto contribuiscono al riscaldamento climatico o violano il consenso scientifico sulla mitigazione o l’adattamento.

I firmatari sostengono che la minaccia alla Cop26 e all’azione per il clima non sia astratta: «abbiamo già visto come la disinformazione può far deragliare conferenze», si legge nella lettera aperta, «nel 2018, una campagna online coordinata da populisti di destra, estremisti di estrema destra e teorici della cospirazione ha fatto pressione sui paesi affinché abbandonassero il sostegno al Global Compact on Migration (il Patto mondiale per una migrazione sicura.ndr) delle Nazioni Unite. Dodici paesi si sono astenuti, mentre Stati Uniti, Israele, Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria hanno votato contro l’accordo internazionale. Un anno dopo, si scoprì che la stessa disinformazione aveva avuto un ruolo nella radicalizzazione del terrorista di Christchurch, con “Here’s Your Migration Compact inciso sulla canna della sua pistola».

La lettera aperta è indirizzata anche ai CEO di Facebook, Instagram, Google, Twitter, Tik Tok, Pinterest e Reddit e chiede l’implementazione delle politiche di contrasto alla disinformazione sul clima, sulla linea di quelle adottate negli ultimi 18 mesi per il contrasto alla disinformazione sul Covid-19. «All’inizio della pandemia, le piattaforme tecnologiche si sono unite e hanno rilasciato una dichiarazione in cui affermavano di aver unito le forze per combattere frode e disinformazione sul virus. Quindi, sappiamo che possono farlo. L’ultima politica di Google è stata il risultato di un duro lavoro e invia un segnale forte a tutte le grandi aziende tecnologiche che possono e devono fare di più», ha affermato Harriet Kingaby, co-founder del Conscious Advertising Network .

Google ha di recente preso la decisione di  non consentire più ai siti Web o ai creator di YouTube di guadagnare denaro pubblicitario tramite Google per contenuti checontraddicono il consenso scientifico consolidato sull’esistenza e le cause del cambiamento climatico” e di non consentire la visualizzazione di annunci che promuovono tali visualizzazioni.

In un mondo caratterizzato da un ecosistema informativo complesso, contrastare la disinformazione non è una scelta facile, ma è una scelta possibile e la posta in gioco è troppo alta per non intraprenderla. 

 

Se vi interessa l’argomento, un consiglio di lettura: La nuova guerra del clima, Michael Mann. Edizioni Ambiente.

 

Elisabetta Ruffolo

Elisabetta Ruffolo (Milano, 1989) Laureata in Public Management presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Milano. Head of communication di MeteoExpert, Produttrice Tv per Meteo.it, giornalista e caporedattrice di IconaClima. Ha frequentato l’Alta scuola per l’Ambiente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per il Master in Comunicazione e gestione della sostenibilità.

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